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Intervista al giornalista Pierpaolo MARCHETTI

A cura di Luca Salini

Capita raramente di rimanere impressionati dalla gentilezza e dalla solerzia di coloro che nel settore di cui si occupano rivestono un ruolo di primissimo piano e godono di notevole apprezzamento da parte del pubblico. E’ successo nel contattare Pierpaolo Marchetti, celeberrimo giornalista, una vera e propria Istituzione nel suo campo, che ha saputo guadagnarsi nel corso degli anni “la credibilità” di cui si parla nell’intervista. La conferma del fatto che l’umiltà alberga nelle persone dotate di elevate capacità professionali e umane. Non mi dilungo ulteriormente. Vi lascio alla lettura dell’intervista che davvero merita la massima attenzione per la qualità delle risposte e per il grande spessore intellettuale di Pierpaolo Marchetti.

Innanzitutto ti ringrazio per la disponibilità e per la cortesia nell’accogliere il mio invito. La prima domanda è d’obbligo purtroppo. Ti aspettavi la retrocessione del Pescara?  

Una retrocessione così no, ma mi aspettavo un campionato molto difficile, negativo. La squadra era evidentemente costruita male, con troppi giocatori con problemi fisici, fermi da molto tempo o comunque in parabola chiaramente discendente. E con qualche giovane ancora senza campionati alle spalle, e quindi non ancora pronto per la serie B. Il mix non poteva funzionare. Purtroppo era chiaro già in avvio di stagione.

A tuo giudizio come vanno suddivise le responsabilità di un epilogo così triste?

Solitamente meriti e colpe seguono l’ordine gerarchico. Prima la società, poi l’allenatore, poi la squadra. Ma non è una regola fissa. In questo caso, ad esempio, la società ha responsabilità predominanti proprio per gli errori nella strategia, nella politica che sta alla base di questi ultimi campionati, nei quali è stata privilegiata la finanza “creativa” a danno dell’aspetto tecnico. Subito dopo metterei le responsabilità della squadra che, malgrado i limiti, avrebbe potuto fare di più, e mi riferisco soprattutto ai comportamenti di qualche giocatore importante. E infine la panchina. Sei allenatori passati in due anni, dicono chiaramente che il problema principale non era la guida tecnica.

Il mercato di gennaio si è rivelato fallimentare…

Purtroppo sì, come capita spesso a Pescara. A gennaio servono innesti mirati, ma soprattutto servono giocatori pronti subito, che devono aiutarti a cambiare l’inerzia della stagione. Invece sono arrivati giocatori fermi da molto tempo, qualcuno con problemi fisici. E i risultati si sono visti.

Intanto Sottil, Mister artefice della salvezza del Pescara dello scorso campionato, ha ottenuto un risultato straordinario e inaspettato fino a qualche mese fa, garantendo all’Ascoli la permanenza in serie B. Avresti confermato Sottil a Pescara?

Sì, perché comunque aveva centrato l’obiettivo per cui era stato ingaggiato. Ma probabilmente esisteva già un accordo, o comunque un pre-accordo con Oddo. Anche se temo che neppure Sottil sarebbe riuscito a salvare questa squadra.

Ora è dura ripartire dalla serie C. Si parla di un repulisti generale. A tuo avviso cosa andrebbe fatto per tornare presto ad alti o buoni livelli?

Il repulisti è più facile a dirsi che a farsi. Ci sono giocatori con contratti lunghi e onerosi che, venendo da stagioni negative, non sarà facile sistemare altrove. Per far bene in C servono tante cose. La prima che mi viene in mente è tornare a una sana distribuzione dei compiti in società. Che il presidente torni a occuparsi della parte economica e lasci la parte tecnica al direttore sportivo, o comunque a chi ha una competenza specifica in materia. Proprio quello che non è stato fatto negli ultimi due anni.

Sei un giornalista affermato, stimato e di altissimo livello. Hai ricevuto anche un importante riconoscimento al Premio Prisco. Che significa essere giornalista per Pierpaolo Marchetti?

Personalmente significa fare quello che sognavo da bambino. Un mestiere bello, nel quale ritengo che sia importante crearsi uno stile e una credibilità. Credo che proprio la credibilità sia la parola chiave. Poi come in qualsiasi mestiere, se vuoi cercare di farlo bene devi prepararti, impegnarti, soprattutto per chi si occupa di sport. Sembra paradossale, ma se scrivi una sciocchezza, che ne so… di economia, se ne accorgono solo gli addetti ai lavori. Se la scrivi sul calcio, dopo cinque minuti ci sono migliaia di persone che ti hanno già scoperto. Se dovessi riassumerti tutto in una frase, ti direi che è un mestiere da fare in modo serio, ma senza prendersi troppo sul serio.

In molti ti assimilano per bagaglio culturale e per sensibilità nei rapporti umani a Gianni Brera o Gianni Mura. Nel corso degli anni a tuo avviso com’è cambiato il mondo del giornalismo?     

Non scherziamo… hai nominato due mostri sacri ai quali nessuno può paragonarsi, tantomeno io. Ho avuto la fortuna di conoscere tante persone di altissimo profilo, e ho cercato di imparare. Anzi, una cosa, almeno una, l’ho imparata di sicuro: che quando hai la fortuna di frequentare persone migliori di te, bisogna saper ascoltare. Per quanto riguarda la risposta, è molto complessa. Ti dico la prima cosa che mi viene in mente, la più evidente. Con internet e con la televisione l’informazione arriva in tempo reale. Quindi la carta stampata può esistere solo se riesce a fornire approfondimenti che internet non dà, altrimenti non è più competitiva. L’informazione su intenet presuppone, come diceva Umberto Eco, una capacità da parte del fruitore, di selezionare ciò che è credibile e ciò che non lo è. Non sempre è facile. Diciamo che oggi il pubblico preferisce purtroppo un’informazione più veloce, di consumo rapido, più superficiale. Per il resto sarebbe inutile dire che a inizio carriera viaggiavo per gli stadi con la macchina da scrivere, e dopo avere scritto c’era un operatore della Telecom (allora si chiamava Sip) che ti passava la comunicazione con il giornale dove dettavi il prezzo ai dimafoni. Oggi puoi lavorare direttamente dal cellulare. Sembra di parlare dell’epoca dei dinosauri, e invece non sono passati mica tanti anni…

A tuo avviso quanto i social network hanno modificato il modo di fare giornalismo? 

In parte ho già risposto sopra. Aggiungo che l’informazione su internet è un oceano, un mare magnum nel quale nuotano verità e menzogne, menti eccelse e deficienti, gente onesta e truffatori. È lo specchio della vita. Bisogna costruirsi le basi culturali per essere in grado di discernere. Altrimenti rischi di diventare un burattino, sballottato qua e là senza un criterio.  Di sicuro è aumentato il numero delle persone che consuma la propria razione di informazione in quattro righe e ritiene di aver già saputo abbastanza. L’approfondimento è diventato un optional.

Era più bello il calcio degli anni 80 o quello di oggi?    

Per quanto mi riguarda, gli anni 80 erano più belli perché avevo quarant’anni di meno… Il calcio è cambiato molto, ma è normale che sia così. Niente nel mondo è rimasto uguale Il progresso ha portato molte cose buone e qualcuna meno buona. La vera novità sta nel fatto che oggi tutto si fa in funzione delle esigenze televisive. E forse è anche giusto, visto che quasi tutte le società professionistiche sono tenute in vita proprio dai soldi che arrivano dai diritti tv.

Qualche mese fa abbiamo avuto il privilegio di vedere su Rete8 uno speciale dedicato agli 80 anni di Giovanni Galeone. Una pagina memorabile di televisione. Chi è per te Giovanni Galeone?  

Galeone oggi è innanzitutto un amico vero. Calcisticamente rappresenta il periodo più bello della mia vita professionale. Era bello il suo calcio, era bello il clima che si era creato intorno a quella squadra, era bello lo spirito di quel gruppo che non aveva paura di niente e di nessuno. Poi Galeone era talmente “personaggio” che Pescara era sempre in prima pagina. Venivano fuori notizie soprattutto nelle lunghe serate… Si lavorava molto, non si dormiva mai. Ma ci si divertiva parecchio. Era un calcio nel quale era ancora possibile coltivare quei rapporti umani che oggi sono del tutto spariti. Galeone ha interpretato alla perfezione lo spirito dei pescaresi, pur non essendo nato qui. Era una persona che amava divertirsi, vivere anche al di sopra delle proprie possibilità ma che aveva voglia di primeggiare, di sentirsi importante. Nulla succede per caso e di certo non è un caso che, a distanza di tanto tempo, Galeone sia ancora amato visceralmente.

Meglio il Pescara di Galeone o il Pescara di Zeman?   

Difficile dirlo in maniera obiettiva. Io sono più legato affettivamente a quello di Galeone ma per questioni personali, soggettive. Se proprio devo fare una valutazione tecnica, posso dirti che Zeman ha vinto con una squadra che aveva grandi talenti, acerbi, che lui è stato bravo a forgiare, ma comunque talenti. Ma la carriera di Verratti, Insigne e Immobile hanno dimostrato che la materia prima era eccellente. Galeone ha vinto con giocatori che non hanno fatto una gran carriera e, tranne poche eccezioni, lontano da lui, non hanno avuto grande fortuna. Da questo punto di vista un po’ meglio quello di Galeone, anche se resta una risposta quasi impossibile da dare. Forse il Pescara più forte è quello che non è mai esistito: ovvero quello che ci sarebbe stato se Zeman fosse rimasto anche in A e la società fosse riuscita a mantenere almeno un anno i suoi tre gioielli.

Il Pescara più forte della storia e il giocatore più forte che ha giocato nel Pescara?  

Anche qui la scelta è tra Galeone e Zeman. Il giocatore più forte a mio avviso è stato Baka Sliskovic, un talento immenso, anche se in biancazzurro è arrivato quasi a fine carriera e preceduto da una fama immeritata di “testa calda”. Invece si è rivelato una persona deliziosa.

Sei molto amico di Max Allegri. Sarò banale ma puoi immaginare la domanda: tornerà alla Juve?   

Giuro, non lo so. Ogni tanto qualche notizia me l’ha anche anticipata, ma quest’anno è molto abbottonato sul suo futuro, dunque non faccio domande. Ma credo che tra qualche giorno sapremo…

Noi ci occupiamo di calcio dilettantistico. A tuo avviso quanto è importante il mondo dei dilettanti per il sistema calcio?   

Anche qui il discorso sarebbe lunghissimo. Ovvio che sia molto importante, perché permette di fare attività agonistica anche a chi magari non ha le stimmate del campione. Non ho una conoscenza approfondita del mondo dilettantistico, però mi piacerebbe che, anche nei campionati minori, ci fosse più spazio per i giovani, mentre, almeno negli anni passati, c’erano squadre che sembravano un po’ dei cimiteri degli elefanti, con tanti vecchi giocatori diciamo pure “semi professionisti”. Però, ripeto, è difficile affrontare l’argomento in poche righe.

Quali misure potrebbero essere adottate per salvare le società di calcio dilettantistico dalla crisi post Covid?     

Su questo, onestamente, non so rispondere. Certo, la cosa più scontata sarebbe chiedere contributi allo Stato, ma so anche che lo Stato non può far fronte a tutto. Sui problemi legati al Covid ci sono già troppi tuttologi in servizio permanente effettivo. Io mi astengo.

Vorrei farti tantissime domande in quanto è piacevole e coinvolgente ascoltarti. Il giocatore più forte in generale che hai visto giocare?   

Beh, in ordine sparso… Maradona, Van Basten, Zidane, Baggio, Ronaldo, Platini, Messi, CR7, Maldini, Del Piero, Raùl, Rivera, Zoff, Buffon…. Ma se ci penso altri cinque minuti ne vengono fuori tanti altri. Diciamo che da questo punto di vista non mi posso lamentare. Mi sono divertito abbastanza…

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  Scritto da Redazione Abruzzo il 10/05/2021
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