La riforma del calcio dilettantistico
Il 2020, con lo scoppio della pandemia, ha inferto un duro colpo al mondo dello sport. In Italia le conseguenze si sono viste soprattutto sul calcio, che per settimane è stato sulle prime pagine dei giornali, poiché è tra i settori che più ha risentito delle varie misure di contenimento adottate.
La crisi ha causato un brusco calo delle entrate nelle casse delle società sportive, soprattutto quelle delle serie minori che hanno sofferto molto la chiusura degli stadi, principali fonti di entrate. Ecco dunque com’è emersa l’idea di destinare il 2% dei ricavi provenienti dalle scommesse online alle squadre dilettantistiche, in modo tale da poter ottenere dei benefici indiretti dall’industria delle scommesse sul calcio e dai bookmaker, anche a seguito dell’approvazione del Decreto Dignità, che con lo stop a sponsorizzazioni e pubblicità ha portato gravi ripercussioni ovviamente anche sugli operatori, poiché tali mezzi sono fondamentali per farsi conoscere al pubblico, specialmente online.
L’idea e i numeri
Per i portafogli delle società calcistiche le scommesse fanno una grossa differenza in termini di introiti: questo è tanto evidente per i club di Serie A quanto sottovalutato per le squadre dei dilettanti. A questo proposito, dodici club bresciani hanno pubblicato un documento contenente dieci proposte per un calcio dilettantistico che necessita di essere riformato. Tra queste, vi è appunto la richiesta di attribuire al settore una quota pari almeno al 2% dei proventi derivanti da diritti televisivi e/o scommesse sportive. Tra le altre, la richiesta di agevolazioni fiscali e revisioni dei costi per consentire di risparmiare almeno il 10% da ridistribuire all’interno delle varie società.
D’altra parte, le scommesse in Italia hanno un peso che vale oltre 8 miliardi di euro, secondo il Report Calcio 2018 a seguito dello studio di FIGC, AREL e PwC. Nel corso degli anni si è visto come l’incidenza del calcio sulla raccolta delle scommesse aumentasse anno dopo anno, classificandosi come il primo sport in Italia, subito seguito dal tennis (con 1,9 miliardi di euro) e dal basket (con 640 milioni di euro).
Tra gli eventi sportivi su cui si scommette di più in Italia spicca in cima alla classifica ovviamente il Campionato di Serie A e a seguire Champions League, Campionato di Serie B e altre competizioni calcistiche. Unica manifestazione non calcistica ai primi posti della classifica, che sembra appassionare molto gli italiani, è l’NBA, che ha raccolto 105 milioni di euro in scommesse.
Ovviamente le scommesse, avendo un peso sempre maggiore, portano anche a un gettito erariale altrettanto altro. Sempre secondo il Report Calcio 2018, è stato stimato come tale gettito erariale derivante dal settore delle scommesse nel 2017 abbia raggiunto l’incredibile cifra di 192 milioni di euro. Un aumento impressionante se si pensa che l’anno prima ammontava a “solo” 132,5 milioni.
Insomma, il binomio calcio-scommesse è da sempre argomento molto scottante che sebbene da una parte muova critiche e allarmismi, dall’altra risulta comunque essere un’ingente fonte di entrate anche per lo Stato. Anche per questo è necessario un rilancio al più presto del calcio, compreso quello dilettantistico: in questo senso, è stato istituito un fondo di 100 milioni che permetterà alle ASD e SSD di affrontare i costi previsti dalla riforma.
La riforma
Se si pensa a quanto la pandemia abbia impattato negativamente sullo sport, si tende, la maggior parte delle volte, a pensare alle squadre della massima serie. Eppure, la situazione si presenta ben peggiore nei contesti dilettantistici, in cui gli atleti non hanno garanzie sufficienti per essere tutelati soprattutto dal punto di vista economico, in termini di rapporti lavorativi.
È proprio questo l’argomento su cui verterebbe la maxi-riforma del calcio dilettantistico, procedura approvata in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri e proposta dal Ministro Spadafora, il quale avrebbe già avuto un consulto col Presidente Giuseppe Conte.
La normativa prevederebbe un inquadramento lavorativo dall’INPS per gli sportivi impegnati nei campionati non professionistici, che finalmente si troverebbero ad avere sufficienti garanzie a livello economico potendo infatti stipulare regolari contratti di lavoro di diversa natura.
Viene posto infine l’accento sulla differenza tra prestazione “dilettante” e “amatoriale”: quest’ultima accezione intatti sarebbe incompatibile con qualsiasi contratto di lavoro e dunque si porrebbe su un piano totalmente diverso dalla prima.
Tra gli argomenti più dibattuti della riforma, insomma, vi è l’abolizione del vincolo sportivo (per cui si è pronunciato anche il Presidente del Calcio Atri Alessandro Italiani), la classificazione di lavoro sportivo circa le attività di calciatori, tecnici e fisioterapisti impegnati nel settore dilettantistico: attualmente infatti questi operatori vengono pagati attraverso rimborsi o compensi comunque non soggetti a tassazione, con tutto ciò che ne consegue a livello di tutela per i lavoratori stessi; con la nuova normativa invece finalmente questi ultimi vedrebbero equiparare il loro lavoro a quello di altri impiegati dipendenti, a discapito delle società che avrebbero più oneri e costi da gestire, quali versamenti, consulenze con commercialisti o consulenti del lavoro, ecc.
Quello attuale è sicuramente il momento di maggiore difficoltà per il calcio dilettanti, e l’appello perché siano attuati interventi per salvaguardarlo è più forte che mai.